Storia dell’alpinismo modenese #2
Le escursioni ai tempi del coronavirus
Eccoci, cari amici camminatori, alla seconda puntata della storia dell’alpinismo modenese.
Innanzitutto è bene ricordare che noi ci occuperemo dei fatti principali che riguardano la conquista delle vette e, in epoca moderna, l’apertura di nuove vie di arrampicata. Non scriveremo, in questa sede, dell’antico peregrinare attraverso i valichi, molti dei quali frequentati sin da tempi remotissimi, la Croce Arcana e la Bocca del Fornello su tutti. Né scriveremo alcunché riguardo le pluri secolari vie di comunicazione transappenniniche, pur sapendo che queste nella storia locale rivestono grande importanza (Via Bibulca, Via dei Remi, Via Vandelli, e altre).
Per quanto riguarda la storia dell’alpinismo vera e propria possiamo individuare una preistoria, nella quale le cime principali venivano raggiunte non con l’obiettivo moderno e sportivo della salita a una vetta, ma per esplorazioni geografiche, per pastorizia seguendo le greggi, con motivazioni scientifiche e addirittura persino politiche.
La preistoria dell’alpinismo sulle montagne modenesi.
Quando l’uomo non aveva ancora scoperto che andare in montagna è una attività non solo faticosa, ma anche piacevole e soddisfacente, erano poche e saltuarie le salite alle vette principali; e queste poche non avvenivano per scopi ludici.
Sappiamo quasi per certo che la vetta del Cimone era frequentata sin dai tempi dell’Impero Romano, visto che proprio attorno ai 2165 m sono state rinvenute monete e iscrizioni riconducibili al periodo imperiale. Non sappiamo però cosa spinse le genti di quell’epoca a salire fin lassù.
Era invece la pastorizia il motivo per cui pastori di Barga frequentavano probabilmente già dal Medioevo la vetta dell’Alpe di Barga, oggi meglio nota come Cima dell’Omo, che si eleva a 1858 m sullo spartiacque tosco emiliano, attualmente tra le province di Lucca e Modena. I possedimenti del Comune di Barga nel Medioevo erano molto vasti, e si spingevano al di qua dello spartiacque. I pastori del borgo toscano in estate portavano le greggi al pascolo proprio sui pendii scoscesi della omonima Alpe (lo fanno tuttora), valicando la cima e scendendo nel versante adriatico. Questi pastori lasciavano tracce del loro passaggio, costruendo i cosiddetti “ometti di sassi”, sia per orientarsi che per segnare le cime principali. Dopo l’Unità d’Italia, quando ci fu il primo rilevamento cartografico del Regno, i cartografi rinvennero in vetta un grande ometto di pietre e, ignari dello storico nome Alpe di Barga, battezzarono il monte Cima dell’Omo, toponimo mai più variato sulle cartine.
Fu invece la politica, quanto meno in senso lato, che spinse il Conte Guidinello Montecuccoli a salire in vetta al Cimone nel 1567. Il signore del Frignano volle raggiungere il punto più alto dei suoi possedimenti, per ammirarne meglio la vastità. È questa la prima salita documentata al culmine dell’Appennino Settentrionale, ed anche la prima escursione documentata a una cima modenese con l’obiettivo di raggiungere la vetta.
Dopo nobili e prìncipi, arrivò il turno degli scienziati. Nella preistoria dell’alpinismo, anche sulle Alpi, le motivazioni scientifiche sono state spesso decisive per il raggiungimento delle cime più abbordabili. Anche in questo caso, era il Cimone ad attirare maggiormente l’attenzione; per la maggiore altitudine, evidente anche da fondovalle, e per la posizione isolata ideale per i primi, rudimentali rilevamenti meteorologici. Nel XVII, XVIII e inizio del XIX secolo pare che il culmine del Cimone fu calcato da non pochi studiosi.
Con il passare dei decenni del XIX secolo le motivazioni che spingevano gli uomini a salire in vetta iniziarono a cambiare, similmente a quanto sulle Alpi stava accadendo dalla fine del ‘700. Gli uomini iniziavano a salire in cima alle montagne per sport, perché la montagna stava lì e qualche uomo desiderava salirla per il gusto della fatica, della vetta, del panorama. Anche sull’Appennino modenese stava nascendo l’alpinismo moderno.
Nascono il CAI e i primi Rifugi, e un grande pioniere sfida l’inverno sulle cime principali.
Attorno alla metà dell’Ottocento “andare in montagna” è diventata una attività alla moda, in particolare tra gli aristocratici dei maggiori Paesi d’Europa. Nel 1863, soltanto due anni dopo l’Unità d’Italia, nasce il CAI, terzo club alpino al mondo (nel 1862 era nato il Österreichischen Alpenverein, qualche anno prima ancora il British Alpine Club). Soltanto dodici anni dopo la fondazione del Sodalizio, avvenuta a Torino, nel 1875 nasce la sezione di Modena del Club Alpino Italiano. Di poco più datata è la sezione di Firenze.
Proprio un socio del CAI Firenze è protagonista di un paio di escursioni alpinistiche di grande rilevanza storica, ed anche di un certo prestigio tecnico in rapporto al periodo. Nel 1876 Damiano Marinelli sale in inverno il
Cimone e il Rondinaio; sono le prime invernali ufficiali a due cime importanti del modenese. Oggigiorno si tratta di due salite alla portata di escursionisti esperti: abbigliamento tecnico moderno e attrezzatura alpinistica all’avanguardia (piccozza e ramponi) rendono queste cime fattibili per molti. Ma non dimentichiamo in che anno (e in che stagione) furono effettuate quelle salite. Allora si andava in montagna con lo stesso vestito con cui si andava a Messa la domenica e a comprare il pane il mercoledì; gli scarponi erano robusti ma rudimentali, chiodati in suola per un grip maggiore su neve e ghiaccio; anziché la piccozza si usava un’ascia da boscaiolo, oppure un lungo e robusto bastone in legno con la punta in ferro (il cosiddetto alpenstock). Il Monte Rondinaio 1964 m, elegante vetta piramidale dai fianchi scoscesi e rocciosi, fu raggiunta da Marinelli probabilmente da nord, attraverso la valle del Lago Baccio. Il Cimone forse dal versante sud, quello che si affaccia su Fiumalbo.
Damiano Marinelli, laziale di nascita e toscano di adozione, è già stato pioniere d’inverno sul tetto dell’Appennino Umbro-Marchigiano, il Monte Vettore; “usa” le invernali sugli Appennini per prepararsi a future scalate alpine e i fatti gli danno ragione. Diventa velocemente un alpinista di punta, compiendo varie “prime”, in particolare nel Gruppo dell’Ortles. Pochi anni dopo, muore tragicamente nel tentativo di scalare la mastodontica parete est del Monte Rosa, travolto da una valanga con le sue Guide in un canalone che da allora porta il suo nome.
Un futuro grande alpinista si è quindi forgiato sulle nostre montagne, ma, indipendentemente da Marinelli, sono anni in cui le nostre montagne conoscono una sorta di “boom” alpinistico e turistico. È talmente alta la frequentazione dell’Appennino in questo periodo che nel 1878 il CAI Firenze e il CAI Bologna collaborano nella costruzione del Rifugio al Lago Scaffaiolo a 1795 m s.l.m., il primo Rifugio di tutto l’Appennino Tosco Emiliano. La costruzione attuale, frequentatissima, non è quella originaria, ed è stata ribattezzata Rifugio Duca degli Abruzzi in onore alle spedizioni alpinistiche extra europee organizzate da Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, a cavallo tra fine ‘800 e inizio ‘900.
Nel 1892 ecco sorgere la prima di tante (adesso anche troppe) costruzioni sulla vetta del Cimone: una torre che fungeva da osservatorio meteorologico, in seguito demolita. Il 12.8.1908 viene eretta la Madonna della Neve, che ancora oggi si celebra, ogni 5 agosto.
L’inizio del ‘900 vede anche le prime salite scialpinistiche. Sono note soprattutto le prime assolute di sciatori fiorentini nel febbraio 1911, all’Alpe delle Tre Potenze 1942 m, al Libro Aperto 1936 m e al Monte Gomito 1892 m. Si tratta di cime poste sul crinale spartiacque tosco emiliano, ben note ai frequentatori delle nostre montagne.
Tra le due guerre mondiali è da ricordare il 1939. In questo anno il CAI Modena costruisce il Rifugio Romualdi a pochi metri dalla vetta al Cimone, un edificio che in seguito sarà confiscato dall’Aeronautica Militare quando la base militare e meteorologica (istituita a partire dal 1936) sarà allargata fino a occupare tutta la sommità del monte.
L’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista nel giugno 1940 interrompe ovunque, anche in Appennino modenese, le attività escursionistiche e alpinistiche, che fino al 1945 risultano limitate e prive di eventi significativi.
Continua…
Francesco Rosati
Guida Ambientale Escursionistica La via dei monti
Questo articolo fa parte del ciclo di storie “Le escursioni ai tempi del coronavirus”: una raccolta di aneddoti, racconti e nozioni naturalistiche online a cura delle Guide Escursionistiche de La via dei monti, per tenervi compagnia in questo momento di digiuno dalle escursioni. Leggerli sarà come partecipare ad una camminata virtuale con le nostre guide, pur restando a casa, in attesa di ritrovarci presto per sentieri.