Il borgo fantasma di Casa Burchi a Roccapelago

Case di pietra dal tetto sfondato. Una porta socchiusa sul vuoto spettrale di una piccola stanza. E all’interno, ancora un vecchio letto matrimoniale, in ferro battuto, inclinato sopra un pavimento di travi di legno che stanno a poco a poco cedendo. Uno squarcio nella parete pericolante, là dove un tempo c’era una finestra, con architravi di sasso, infissi di legno e vetri lucenti.

Lo scenario di un borgo fantasma sembra ripetersi uguale in ogni angolo d’Appennino che ancora ne conserva uno, nascosto nel bosco. Eppure ogni paese abbandonato ha la sua storia particolare, gelosamente nascosta. Molte, troppe, sono ormai dimenticate, seppellite sotto cumuli di macerie che nessuno rimuoverà più. Ma ancora qualcuna resiste, magari nei ricordi di un uomo che in quello splendido borgo, oggi divenuto fantasma, ha realmente vissuto. Domenico Guerri, nella borgata di Casa Burchi a Roccapelago, nel comune di Pievepelago, alle pendici del monte Rocca, ha abitato dal 1952 alla fine degli anni Sessanta. «Era un borgo di pastori e contadini – ricorda Domenico – quattro famiglie in tutto. Quando siamo arrivati noi, le altre case si erano già spopolate, e rimanevano vuote per la gran parte dell’anno. Solo in estate, nei primi anni, qualche famiglia di pastori tornava a farsi vedere, per portare le pecore al pascolo».

 

Domenico Guerri

 

Domenico Guerri racconta

Una vita dura, quella di allora, soprattutto per le genti di montagna, abituate a spostarsi a piedi, ai lavori pesanti, e al ritmo serrato delle stagioni. «A quei tempi eravamo collegati al paese più vicino soltanto da una mulattiera, transitabile a piedi o con gli animali» racconta il signor Guerri. «Non avevamo macchine», sorride. «Era un sentiero d’alta quota, d’inverno era complicatissimo percorrerlo. Si doveva tracciare la neve.

Una fatica! Quando nevicava rimanevamo isolati lassù per giorni interi, senza poterci spostare. Altrimenti scendevamo il lunedì, giorno del mercato in paese, per fare provviste per l’intera settimana. Ci volevano due ore a raggiungere Pievepelago».

Per i bambini c’era la scuola, e naturalmente si andava a piedi. Un’ora era il tempo necessario per arrivare alle elementari della frazione di Rocca. «La mia famiglia decise di trasferirsi a Casa Burchi, perché avevamo bisogno di pascoli estesi per il bestiame. Poi, le difficoltà crescenti ci hanno spinto a scendere più a valle». Della durezza di quegli anni, rimane oggi il ricordo dei buoni rapporti con le famiglie vicine, degli aiuti e della solidarietà, pur nella miseria.

E al posto del forte attaccamento per la propria montagna, resta un progressivo spopolamento, simboleggiato da un borgo abbandonato che cade a pezzi.

2 commenti su “Il borgo fantasma di Casa Burchi a Roccapelago”

  1. Francesco Paolo 9 Maggio 2020

    Molto interessante

  2. Patrizia 11 Maggio 2020

    Grazie per i bellissimi racconti .

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