Il valico più alto dell’Appennino tosco-emiliano: storia della via Ducale di Foce a Giovo
L’Appennino modenese, per la sua posizione, è da sempre un nodo cruciale per valicare la dorsale che divide l’Italia nei versanti affacciati sui due mari.
Già dai tempi dei Romani, e prima, i valichi del nostro Appennino furono importanti crocevia di genti.
Lo testimoniano ritrovamenti archeologici, i racconti degli storiografi antichi e anche alcuni toponimi, come il passo “d’Annibale”, situato molto vicino al valico di Foce a Giovo, dove si racconta che il condottiero cartaginese decise di valicare l’Appennino nella sua discesa verso Roma durante la seconda Guerra Punica.
Non è certo se egli abbia utilizzato proprio il valico che oggi porta il suo nome, uno dei meno agevoli che avrebbe potuto scegliere. Ma d’altronde il suo motto, poi ripreso dall’esploratore artico Robert Peary, era “troverò una strada o ne aprirò una”.
Uno degli ultimi grandi progetti di aprire strade sulle impervie cime appenniniche è quello della strada Ducale di Foce a Giovo.
La storia di quello che, con i suoi 1674 metri s.l.m., è il più alto e ardito valico carrozzabile dell’Appennino tosco-emiliano, prende avvio lontano da queste terre, nei raffinati saloni delle dimore delle case regnanti d’Europa.
L’epoca è quella della Restaurazione. Nel Congresso di Vienna si limano e si rimettono a posto tessere del mosaico brutalmente scompaginato dalle campagne di Napoleone.
E così, spedito il turbolento Còrso e le sue ambizioni in una sperduta isola atlantica, rimane il problema spinoso di Maria Luigia d’Austria… che se era da un lato la moglie di Napoleone, dall’altro rimaneva pur sempre la figlia dell’Imperatore d’Austria. Per salvare capra e cavoli alla Maria Luigia viene concesso vita natural durante il Ducato di Parma e Piacenza, mentre alla Duchessa Maria Luisa di Borbone, fino ad allora signora del Ducato emiliano, venne data Lucca come contropartita.
Proprio la risolutezza di Maria Luisa nel creare una nuova via di sbocco da Lucca per il versante padano portò all’avvio dei progetti per la realizzazione della nuova strada che doveva congiungere direttamente Modena con Lucca, senza passare per i territori del Granducato di Toscana.
Francesco IV d’Este, Duca di Modena, che non era poi molto convinto, ne ebbe da Lucca in cambio la concessione delle exclave di Castiglione Garfagnana e Minucciano, due “spine nel fianco” rimaste fino ad allora nel territorio garfagnino, per il resto interamente sotto il controllo estense.
E così i lavori per la nuova strada iniziarono nel settembre del 1819.
Sul lato lucchese si escluse l’opzione di risalire la valle dello Scesta, che imponeva uno sviluppo più lungo e soprattutto una maggiore distanza fra il valico e l’ultimo centro abitato. La scelta ricadde così sul progetto dell’ing. Marracci che prevedeva l’inizio della strada al Ponte delle Catene di Fornoli (opera dell’architetto Nottolini, fatto realizzare nel 1844 da Carlo Ludovico) e la sua risalita lungo la Val Fegana, con un dislivello di 1500 metri dal ponte al valico.
Sul lato modenese i problemi erano di natura politica, oltre che tecnica e dovendo evitare il transito per i territori controllati dall’enclave di Barga, si optò per risalire la valle delle Pozze (oggi Val di Luce…ma questa è un’altra storia…) dal ponte di Picchiasassi a Dogana nuova, per poi raggiungere il valico di Foce a Giovo risalendo il versante destro della valle delle Tagliole.
I problemi tecnici dovuti alla natura impervia dei luoghi imposero per la nuova strada l’impiego di criteri progettuali e costruttivi modernissimi. Il tracciato si sviluppava per tutto il suo percorso mantenendo sempre pendenze non superiori all’8%, condizione necessaria per permettere il transito di carrozze a traino animale.
L’intera opera fu terminata fra l’autunno 1823 e la primavera 1824, quando fu inaugurata. Rimasero da completare solo alcune opere infrastrutturali, quali alcune stazioni di posta sul versante lucchese, che in realtà non vennero mai terminate.
Alla Duchessa Maria Luisa successe il figlio Carlo Ludovico di Borbone, che non era dotato della stessa tempra e determinazione della madre. Poco dopo Lucca entrò a far parte del Granducato di Toscana e la strada fu declassata da via Ducale a via Vicinale, sotto le pressioni del governo granducale che non aveva mai visto di buon occhio la realizzazione di un’arteria viaria alternativa alla Ximenes. L’alta quota del valico, con i suoi imponenti accumuli nevosi, e l’apertura di una nuova strada di comunicazione fra Modena e la valle del Serchio (strada delle Radici – 1859) dettero la spallata decisiva e la via fu relegata ad un posto di seconda fila, rimanendo utilizzata solo per gli spostamenti locali. La grande Storia si affaccerà però ancora al valico di Foce a Giovo nell’inverno ’44-’45, quando qui trovò il suo primo impiego la neonata Decima Divisione di Montagna Americana, impegnata nel tentativo di sfondamento della Linea Gotica.
Un aneddoto la cui fondatezza storica è tutta da verificare racconta che, incontratisi nei pressi del valico i due governanti in occasione dell’inaugurazione della strada, la Duchessa Maria Luisa, riferendosi alle cime ancora innevate e con un sagace doppio senso anche al capo canuto di Francesco IV, affermò “è primavera ma sulle cime nevica”. Francesco, inteso il doppio senso, rispose con un meno elegante “se sulle cime v’è neve, le vacche ridiscendano al piano”.
Ancora oggi, giunti al valico dal versante emiliano, se ci si sofferma sotto l’occhio vigile dei contrafforti rocciosi del Rondinaio lombardo a osservare l’elegante serpentina degli ultimi tornanti che risalgono la Val Fegana, si ha la sensazione di trovarsi a camminare su una vera e propria opera d’arte ingegneristica.
Questo articolo fa parte del ciclo di storie “Le escursioni ai tempi del coronavirus”: una raccolta di aneddoti, racconti e nozioni naturalistiche online a cura delle Guide Escursionistiche de La via dei monti, per tenervi compagnia in questo momento di digiuno dalle escursioni. Leggerli sarà come partecipare ad una camminata virtuale con le nostre guide, pur restando a casa, in attesa di ritrovarci presto per sentieri.